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Bobby Jones e Clifford Brown: gli autori dell’Augusta National.

Il campo inventato nel 1932 dove ogni buca ha un nome.

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Fonte immagine: Profilo Instagram @augusta.national

Dareste mai dei nomi a delle buche mentre giocate a golf? Anche se ostacolano in qualche modo il vostro gioco?

Beh, questo succede all’Augusta National, un campo che è stato inventato da Bobby Jones e Clifford Brown nel 1932 e dove da allora il tempo si è fermato e ogni cosa viene eseguita secondo tradizione, a tal punto che nessun cambiamento l’ha mai finora interessato.

Ci sono ancora delle buche che ormai sono storiche e alle quali al Masters ci si sono affezionati, soprattutto a tre in particolare, ovvero la 11, la 12 e la 13, a cui sono stati dati anche dei nomi! Si tratta infatti di “white dogwood”, “golden bell” e “azalea”. Queste tre signorine formano insieme un angolo che è molto insidioso e che proprio perché potrebbe fare perdere il torneo è stato da sempre ribattezzato con il nome di “Amen Corner”. Curioso, no?

Già, perché sembrerebbe che è proprio lì che molti hanno pregato, ma anche imprecato per non aver  superato l’ostacolo. A dargli questo nome e quindi a coglierne la disperazione che ne trasudava, fu il giornalista americano Warren Wind: l’atteggiamento di preghiera e speranza gli avevano riportato alla mente una canzone che gli fu d’ispirazione, ovvero “Shouting at Amen Corner.”

Un bel sarcasmo! Ma come dargli torto.

Ricordiamo che nel 2019, Francesco Molinari si imbatté nella 12, la golden bell, che gli fece dire addio alla possibilità di vincere il Masters.

Calma e concentrazione sono le parole chiavi del golf, ma il sogno di ogni professionista è quello di essere guidato dalla speranza di andare a colpo sicuro, ma non sempre può andare bene!

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Fonte immagine: Profilo Instagram @augusta.national